Venezia #FASEZERO: Cap VII “Venezia nonostante”

18 Giugno 2020

Il tabacco è l’unica scusa per la disavventura di Colombo di aver scoperto l’America.

Sigmund Freud

Cap. VII “Quello in cui l’autore, con sommi voli che nemmeno Pindaro osò compiere, illustra doviziosamente e con note esplicative a margine l’occulto disegno del grande eloquio massmediologico e rilanciante che accompagna in questi giorni i serenissimi abitanti”. 

In ogni città, non volendo per niente al mondo rinunciare alle proprie abitudini alimentari, è possibile trovare un posto accogliente, con lo stesso marchio, la stessa carne amburghese, le stesse patatine, gli stessi commessi, lo stesso menù e lo stesso puzzo cucito ai vestiti quando si esce.
Un puzzo fatto di memoria, che ti ricorda per giorni, assieme ai ruttini liberatori annegati nell’olio riutilizzato, che hai mangiato nel tuo fast food del cuore. 

Un cibo veloce, universale, che si adatta a ogni continente, a ogni lingua, a ognuno di noi, e che per questo trovi in ogni luogo, uguale a se stesso. Uguale a te.

Un monocibo universale. 

Si sta facendo così anche con la cultura, con la proposta spacciata per diversificata. Ma che in realtà è unica. 

Un monopensiero universale.  

Fast Brain, Fast Art, Fast Culture, Fast Life.

Un posto uguale a mille altri, una proposta spacciata come cucita a mano, ma che in realtà è un format, utile solo ad offrire lo stesso hamburger artistico/culturale all’anima sopita. Al cervello pigro. 

Venezia è la “solita unica città”, Venezia è “uguale alle altre nella sua diversità”. 

Discorso contraddittorio? Contrasto di termini fatti coesistere forzatamente?
E chi me lo fa presente? Chi ha accettato senza colpo ferire l’ossimoro quotidiano del “distanziamento sociale”, assurda contemporaneità letterale, più che sostanziale?
Una presa per il culo forbita.
Intendiamoci: sono pienamente d’accordo sulle distanze di sicurezza, sul cordone sanitario, ma non definiamo le cose in maniera edulcorata, solo per non far percepire la realtà a chi è costretto a subirla. Definire, come nel passato, il bombardamento di una città oltreconfine come “difesa attiva”, o un ordigno esplosivo come “bomba intelligente”, non lascia attaccate le membra a chi riceve sulla testa tanta sapienza didascalica.     

Lasciatemi lavorare in pace, quindi.

Dicevamo? Sì: come si crea il “distanziamento ravvicinato”? La “diversità unitaria”? La “monodifferenza culturale”? Ne ho a decine di ossimori come questi, e non dovete nemmeno votarmi perché io ve li enunci. 

Elenco le fasi successive del percorso, numerandole diligentemente, come fanno gli enfant prodige della politica, quelli che mostrano nel contempo anche i ditini della mano, per far meglio comprendere i monoconcetti del loro pensiero, dettato dai grandi strateghi della comunicazione universale (universale… lo so: sto adoperando spesso questo termine, ma devo adattarmi anch’io, miei piccoli amici, al modus operandi dei miei interlocutori/competitor che ripetono ossessivamente uno slogan fatto spesso di una sola parola per farla entrare meglio  nella vostra mente, con un ritmo e una frequenza stupidamente ossessivi).

Cominciamo, ditini pronti:

1 (ditino pollice) – Si finge di concepire un menù ad hoc per Venezia, unico nel suo genere, tagliato su misura, non come un vestito, ma come un panino, e lo si fa servire dai soliti cuochi di quel fast food che è diventato il panorama di chi gestisce la cultura nel mondo, riconoscibili lombrosianamente, come già detto, per i loro occhiali ridicoli, per il maglioncino pastello color pisello sulle spalle, per aver scritto un libro spacciato dall’intervistatore come best seller, o per il loro parlare annoiato e onniscente, tipo androide della scena finale di Blade Runner, quello di “Ho visto cose che voi umani…”).

2 (ditino indice) – Si porta a Venezia la solita minestra del grande critico universale (perché possiede un’opinione gridata per ogni tema, dalle tette della velina alle teorie del tronista di Uomini e donne sulla Gioconda), il grande bluff spacciato per musicista (il cantante senza voce che fa parlare di sé solo per le sue sceneggiate sui palchi e nei talk show) e la famosa giurata stonata di un qualsiasi talent show canoro, ed ecco l’hamburger, il panino e la patatina da infilare nel menù universale della monocultura di cui al punto 1 (o punto del ditino pollice).

3 (ditino medio) Si parla del diverso passato uguale al presente per poter fare in futuro le stesse identiche cose spacciandole per nuove (questa è dura, lo so, e nessun stratega da “Marlon brand” la illustrerebbe così).

4 e 5 (ditini anulare e mignolo) eeeeeh (Abbiamo troppi ditini per i concetti base da esprimere).

Fatto. 

Abbiamo creato i requisiti per chiedere un finanziamento (europeo o nazionale, meglio se entrambi) per rilanciare Venezia, quando basterebbe fare come il sosia del Marchese del Grillo (Vedi Cap. V di #Fasezero), che dice: “Vojo vedè li conti, perché se me freghi qui, me freghi su tutto“.
Li conti“. I numeri. Quanti visitatori vengono appositamente a Venezia per vedere l’artista proveniente da uno dei territori nemmeno contemplati dal Risiko?
Quanti? SI PARLA DI NUMERI RIDICOLI, anche contando le zanzare del padiglione dell’Alberta o dell’Europa Meridionale, che ci piazzo tre carri armati gialli, così tiro tre dadi quando mi attaccano. E vinco io, tanto non viene nessuno.

E dico questo perché li ho visti, i numeri (non i carri armati gialli). Li ho letti, “li conti“. Ho visto i credits, quelli dove la cosiddetta cultura alternativa ringrazia la cultura ormai ufficiale degli influencer o degli anchormen/women. Ho visitato le “opportunità”, le “occasioni di rilancio”. I padiglioni visivi e olfattivi, più che auricolari.

Occasioni di rilancio per Venezia. 

In acqua.

Quante di queste rassegnate rassegne sono state veramente occasione di crescita per una città dissanguata ormai da anni da tanti, amorevoli vampiri?

Se domani mattina un conclamato artista volesse applicare un naso sulla facciata di palazzo ducale (ohh! Che provocazione!) o volesse svuotare un’altra chiesa di Venezia per installare uno dei suoi “ruttini da fast food” (ohh! Che concetto alternativo!), vogliamo avere il coraggio di dire: NOOOOO! GRAZIEEEEEE?

Ci sono decine di chiese inutilizzate a Venezia. Chiese tenute chiuse da anni, che vengono riaperte solo per pochi intimi, per pochi minuti, per quelli che sanno dei percorsi d’elite organizzati a fatica, in stile carbonaro.
Ogni chiesa a Venezia è uno scrigno della memoria. Un megafono della storia. Creiamo dei percorsi per ascoltarla, questa storia.
Prepariamo dei giovani, coinvolgiamoli, mettiamoli all’ingresso, creiamo accoglienza, amore, lavoro.
Non serve sventrare, sconsacrare, ridimensionare questi tesori sepolti.


La Storia ama raccontarsi, e non serve inventarsi i soliti fantasmi, le ripetitive leggende, i consueti misteri.
Basta la Verità, raccontata bene, piuttosto che le solite balle, raccontate male.

Male che vada, ci saranno gli stessi, identici visitatori che, passando per caso, guarderanno con rimpianto l’altare nascosto dietro quell’orribile pannello rigato di nero che regge la costosissima opera dell’artista di grido.

Il mio grido, quando mi rendo conto del disastro compiuto da questa cheese culture alla maionese e cipolle.      

Venezia è una stanca meraviglia.

Venezia sopravvive nonostante gli aiuti, nonostante le opportunità, nonostante i rilanci.

Nonostante i bluff…

Interventi disinteressati solo perché privi d’interesse.

Del pubblico.

Venezia. Nonostante…      

           

           

 

     

    3 Comments

  • Mariano 18 Giugno 2020

    Credo siamo vittime di una confusione profonda causata dall’aver assunto, per semplificazione, che significanti (simboli, parole, suoni) diversi avessero lo stesso significato. Evito di dilungarmi in un sofisma che risulterebbe noioso, farò un esempio per tutti “scuola” e “istruzione”.

  • Alessandra 18 Giugno 2020

    Abbiamo “troppa” (per modo di dire, ovviamente, nel senso di tanta e meravigliosa) Arte e “troppa” Storia, e non ci sono i mezzi, non c’è cura né passione che siano sufficienti a rendere loro merito come si dovrebbe, anche se c’è chi vorrebbe farlo. Credo che, per imparare tutto ciò che riguarda una singola chiesa o una singola opera d’arte presenti sul nostro territorio, sarebbero necessarie molta più dedizione e molta più attenzione anche ai piccoli particolari, ma purtroppo sono rare, dato che la (frettolosa) mercificazione è molto più proficua.

  • Fabio Vianello 21 Giugno 2020

    Interessantissime queste continue similitudine con l’ amburghese, le patatine e tutto il resto. E mi è piaciuta tanto anche l’ osservazione sui ‘conti’, perché è vero: “se mi freghi quì, me freghi su tutto”

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