VENEZIA #Fasezero – Cap V “A quanto vendiamo il carbone?”

2 Giugno 2020

Marchese del Grillo (Gasperino il carbonaio): “Fammi vedere li conti. Quanto spendiamo in questa casa?”

Amministratore: “Ma perché? Non si fida di me? Sono generazioni che amministriamo la sua famiglia,prima mio nonno, poi mio padre, adesso io…”

Marchese: “Ma che… T’offendi? Per esempio: quanto ‘o pagamo er carbone? Famme sapè…”

Amministratore: “Il carbone… [lo paghiamo] 7 Pauli il quintale…”

Marchese: “E la carbonella?”

Amministratore: “4!”

[…]

Marchese: “E la legna?”

Amministratore: “Quella non la compriamo, Marchese… Viene dai nostri boschi. Quella la vendiamo! A 10 Pauli al quintale!”

Marchese: “Lo vedi che semo cojoni? Ma come!
Compremo tutto a 3 volte il prezzo corrente e solo la legna la vendiamo a metà prezzo?
Dice: nun me fido. Ho fatto bbene a veder li conti, altrochè: se tu me freghi qui, me freghi su tutto.
Perciò sei un ladro. Sei ladro tu, tu padre e tu nonno… e  io vi licenzio tutti e tre!”

Dialogo tra Gasperino “er carbonaro” (sosia del Marchese del Grillo) e l’amministratore di casa del Grillo

Tratto da: “Il Marchese del Grillo” di Mario Monicelli, 1981     

Le generazioni precedenti di coloro che si sono avvicendati nell’amministrazione della cosa pubblica veneziana hanno risposto quasi sempre alla stessa maniera a chi chiedeva: cosa facciamo adesso? E lo hanno fatto dicendo sempre le stesse cose… con voci, colori e parole diverse.
Usiamo allora il dialetto del Marchese del Grillo (che me fà tanto ride): “Dicce tu quel che dovemo da fa’, allora!”. Dico io: “Ahò! Ve lo ggià detto l’artra vorta, ma forse non so’ stato abbastanza chiaro: non toccate niente e date solo da mangiare alla scimmia!”.

Vogliamo capire che non esiste la Provvida Sventura quando parla la politica o i grandi strateghi che pianificano ogni cosa sul tavolino buono di casa nostra?
Noi non siamo Manzoni, anche se la vicenda che stiamo vivendo ha molte analogie con i Promessi Sposi.

Quello che ci è capitato non è una Provvida Sventura,
non  è un’opportunità: è una calamità.
Prendiamone atto, seriamente.
Tiriamoci su le maniche e i pantaloni,
almeno fino a che il Mose non ci salverà dalle acque.
Ciò che non voglio è sentire sempre le stesse analisi
che portano sempre alle stesse risposte.

Anche i giovani, formati e cresciuti nella scuola di chi li ha preceduti, nei modi e nei precetti, per uscire da questa situazione di EMERGENZA IMMEDIATA, ripetono come un mantra formulette rassicuranti che nella migliore delle ipotesi, ossia nell’ipotesi che funzionino, vedranno risultati tra dieci, quindici anni, quando il mondo sarà ormai retto dall’economia del baratto di conchiglie.

Gia li vedo. Già li sento. Già li leggo: Le “nuove proposte”, i giovani concorrenti del Talent Show della politica e della cultura: “Bisogna ripartire da Venezia implementando l’implementabile…” “L’Arte è bellezza, Venezia è Arte, dunque Venezia è bellezza e Arte…” “Venezia deve tornare a essere cultura e per questo chiamiamo il nuovo curatore dei Curatori…” “Venezia deve diventare laboratorio del futuro” “Un bel convegno! Facciamo un Convegno che veda Venezia nel ruolo di protagonista nel mondo!” “Lo facciamo magari a San Giorgio! Nessuno ci ha pensato prima!” “Bisogna affittare le case agli studenti per ridar…” “Venezia ai venez…” “Un attimo. Il telefono… Sì… Sì… Scusate. Mi hanno chiamato. Devo andare a Roma e poi a Bruxelles. Chiudete tutto voi qua? L’interruttore è dietro il Palazzo Ducale. Grazie. Ho il fattore X!”.

Venezia non torna a rivivere con la popolazione che si stabilisce in città provvisoriamente, come gli studenti universitari, ad esempio (scusatemi #andràtuttobene). Giovani che vengono qui a studiare, non a vivere (scusatemi #andràtuttobene).
Non vengono ad abitarci semplicemente perché la città non offre loro nulla, solo ospitalità in affitto (scusatemi #andràtuttobene).
Come per i turisti. Niente lavoro, niente vita, niente radici.
Non trova stimoli il giovane che qui è nato, figurarsi un ragazzo/a che viene da fuori, che nel week end scappa da qui per tornare a casa propria (scusatemi #andràtuttobene).
Qui “il nuovo abitatore” trova solo prezzi alti, solo scomodità, solo camminate a piedi, solo vecchi che brontolano (scusatemi #andràtuttobene).
Non si elimina la piaga del turismo selvaggio (peraltro rimpianto dai molti figli della filiera del Dio minore) solo cambiando la natura “culturale”degli ospiti. Non è che il congressista del “Laboratorio futuro” non vada negli alberghi, non vada in ristorante, non prenda il taxi… come e più del turista. 

Un’idea specifica, mi si chiede, ossia un’idea alternativa. Formulata per ingannare il tempo finché c’è la peste? Un Decamerone del 2020? Mostrare la ruota di scorta o un piccolo motore alternativo, al posto di quello che sembra essere fuso? Perché?

Perchè pianifichiamo il famoso piano B sperando con tutto il cuore in un immediato ripristino dell’antico piano A? 

Ce provo: se vogliamo “impiantare” nuovi rami vitali nel tronco rinsecchito di Venezia bisogna agire sull’economia, sulla struttura.
Aspetta… apri quella vecchia scatola da scarpe… Sì quella. Tira fuori il documento piegato… Ecco, quello. Quello, miei piccoli amici, è il piano regolatore della città.
Ohh! Il piano regolatore! Cos’è? Com’è? Quanti fondi europei ci porterà? Non lo so e non mi importa.
Ciò che spero ed auspico è che sia il progetto che dovrebbe costruire una città per farla vivere di nuovo, parzialmente, in autonomia.

Non si può lasciare che il mercato, che la domanda tracci la morfologia della città più bella del mondo, la nostra offerta.
Venezia è un malato che deve essere curato con una ricetta speciale.
Ci vuole coraggio. Ci vuole spirito di sacrificio. Ci vuole pragmatismo.

Non servono 100 botteghe di borse, di scarpe, di souvenirs una accanto all’altra.
Servono botteghe che alimentino la socialità, la resilienza, la residenza, la resistenza. La vita.

In Arsenale, ad esempio, invece di installazioni con paperette rosa di plastica (non le hanno ancora fatte, lo so), perché non radicare un’attività specifica, preziosa, non invasiva sull’ambiente, tipo la costruzione e le progettazione di nuove barche “verdi”, di motoscafi, anche pubblici, da usare a Venezia e nel mondo?
Costruiamo professioni e professionisti che non crollino economicamente ed emotivamente perché non arriva per due mesi l'”alieno”.

Ma… I laboratori? I dibattiti? I convegni? Fateli. Ma non a Venezia.
Mentre voi programmate Utopia, cosa facciamo fare a ‘sti poveri Cristi dei veneziani?
Li facciamo girare con le mani dietro la schiena, come i vecchi (molti già lo sono), a guardare i cantieri?
Li facciamo pulire per terra? Di solito i laboratori si fanno negli sgabuzzini delle case, o nei garage, per non fare casino, per non sporcare il salotto.
Quando avrete finito, venite fuori dai laboratori, togliete dai pavimenti i trucioli della vostra mente e mostrateci il lavoro finito per la” Venezia del futuro”.

Noi, qui, si è pensato al presente. Ripeto: non toccate niente e date solo da mangiare alla scimmia.
Qualunquismo (e daje), si dirà. Peggio: provincialismo. No: semplicemente il re è nudo. Lo è sempre stato.

Il problema è che queste constatazioni sono state portate avanti fino ad oggi in maniera becera, da persone prive di quel dizionario culturale che è la conoscenza storica. “Mi no so, mi no capisso… A mi me piaze Venexia”. Non voglio che le mie istanze siano rappresentate da persone troppo indaffarate nei loro interessi da non aver nemmeno il tempo di aprire un libro.
Le mie istanze non sono le loro istanze e per questo io prendo le distanze (calembour da fine intellettuale).

Il punto d’inizio di un cerchio è attaccato, purtroppo, al punto finale, tanto da confondersi. Ma in mezzo c’è un cerchio, intero.
Dovrò passare molto del mio tempo non tanto a chiarire ciò che sono (il cerchio e il suo punto finale), ma ciò che non sono (solo il punto iniziale: ovvero il “Mi no so, mi no capisso… A mi me piaze Venexia”).

Bisogna semplicemente dire al dottore
che ha portato il paziente Venezia in questo stato
che non può essere lo stesso a tirarla fuori.
Questi signori hanno messo i piedi
nel piatto filettato d’oro che è la città
senza nemmeno togliersi
gli stivali chiodati dello stilista di turno.

Questo scrivere è per sintetizzare ciò che negli anni è stata la cantilena di proposte per Venezia da parte dei tanti “coloro” chiamati a gestire la Storia, il respiro secolare di una città per il breve tempo che è stato il loro mandato. Il “dei tanti coloro”, e non “di tutti coloro”, non è messo per pararmi parti del corpo di solito non battute dal sole: concedo a qualcuno la mia speranza di credere che le sue intenzioni, almeno quelle e solo quelle, fossero state sincere in partenza.
Gli Aztechi aspettavano il ritorno di Quetzalcoatl, il Serpente Piumato, per poterlo adorare di nuovo. E tutta la loro esistenza era mirata a poterlo accogliere nel migliore dei modi.

Provo comunque a dare una prima risposta al quesito iniziale “cosa facciamo adesso?” e lo faccio formulando a mia volta una domanda: “Desideri formattare l’Hard disk Venezia per migliorarne le prestazioni?” Perché questo bisogna fare.
Veneziani, amministratori, politici… Volete davvero formattare l’Hard Disk Venezia per migliorarne le prestazioni?
Ascoltando – ma soprattutto vedendo –  da dietro una maschera le vostre proposte di questi giorni non ne sono convinto, quindi cosa propongo?
Un passatempo? Una consulenza gratuita, a differenza delle vostre?
Mi metto in attesa anch’io, quindi, accomodato sulla riva, che torni di nuovo il nostro Serpente Piumato, magari su un transatlantico, che porterà a tutti i residenti di Venessia i doni del Paradiso. Sperando che il Serpente Piumato in realtà non sia, come fu per gli Aztechi, Hernan Cortés.

Partiamo dai veneziani, dalle esigenze quotidiane di chi vive e abita questa città, partiamo dall’arte, dall’artigianalità, dalla produttività che questa città sa ancora esprimere e solo poi, in un secondo momento, pensiamo ad accogliere l’”alieno”.
E facciamo in modo che sia lui ad adattarsi ai nostri rituali, a pagarsi i suoi trasporti e ad attendere in coda agli imbarcaderi, giusto per fare un esempio concreto.

Perché a Venezia e solo a Venezia viene detto ai cittadini che è l’ospite a pagare ciò che di diritto spetta al padrone di casa?
I servizi pubblici per i “cittadini fissi”, sono – ovunque nel mondo – parte dei “costi fissi” di una città, e devono quindi esistere a prescindere dal “surplus” di chi viene a visitarla, che dovrà pagarsi, a parte, ciò che gli serve.
Il turista è “cittadino variabile”, e deve essere obbligatoriamente “costo variabile” della città.

Facciamo si che Venezia non sia più solo la città che tutti sognano di visitare ma, al contrario, che diventi la città in cui tutti sognino di vivere.
Questo è il vero turismo sostenibile.
Ritornando alla metafora dell’incipit: dispiace per i macellai a tutti i costi in un mondo diventato di vegetariani.
E ve lo dice un carnivoro.

 

Continua (forse…)

Marchese del Grillo (Gasperino il carbonaio) all’amministratore di casa del Grillo: “Mo’ io me ne vado in cantina, e tu te ne vai a fa…”

    3 Comments

  • Giovanni 3 Giugno 2020

    Incantato!

  • Mariano 3 Giugno 2020

    Se non ricordo male, anni fa, in “Ritorni senza andate” (il tuo protoblog) si è già parlato di carnevale a Venezia e sfruttamento della città. Parafrasando Gaber, il problema sarà quello di esorcizzare non il magnaccia “in sé” ma il magnaccia “in noi”. In noi che viviamo e sfruttiamo questa città: in noi industriali e artigiani (“È impossibile produrre senza inquinare e in piena sicurezza”), in noi commercianti (“È impossibile vendere solo merce originale”), in noi albergatori e ristoratori (“È impossibile rispettare le misure dei plateatici”), in noi tassisti (“È impossibile rispettare i limiti di velocità”)… In noi che (e qui saccheggio De Andrè) sappiamo dare buoni consigli se non possiamo più dare cattivo esempio.

  • Anna Pavan 3 Giugno 2020

    Hai perfettamente ragione. In tutti questi anni coloro che hanno amministrato Venezia l’hanno “svaccata” e impoverito in tutti i sensi.

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