Venezia #FASEZERO – Cap III – “They are all honorable men”

24 Maggio 2020

“Friends, Romans, countrymen, give me your attention. I have come here to bury Caesar, not to praise him…”

W. Shakespeare
Julius Caesar
Atto III, Seconda Scena 

A gentile richiesta, continuo:

Come affrontare ciò che ci aspetta? Bisogna, prima di tutto, formattare, azzerare, ritarare.

I soggetti che vorranno ripartire dopo l’apocalisse pandemica (psicologica più che fisica, dato che questa malattia, a differenza del passato, ha devastato più il futuro delle nostre speranze che il presente dei nostri corpi) dovranno dare una risposta nuova a una domanda paradossalmente o marzullianamente formulata proprio da loro. Proprio da noi.
Perché siamo sempre stati noi a fissare o a lasciar fissare dai cosiddetti “altri” i parametri in cui incardinare il nostro modus vivendi/operandi.
E per questo, stavolta, dovremo dare una risposta diversa, perché il contesto è diverso.
Come? Principalmente attraverso la rappresentanza per eccellenza, ossia con la politica.
La politica è il cittadinoIl cittadino è la politica, almeno finché avrò la sensazione di vivere in uno stato democratico. Quindi?

Ma sì: scomodiamo in parte Menenio Agrippa, uno dei primi influencer della storia…
Oddio, sarebbe stato più “cool” appiccicare una massima proferita da qualche “mente aperta”, ovvero dal solito rapper con la zeppola (chissà perché in Italia tutti quelli che hanno problemi di dizione ci deliziano con il loro rap), e il tatuaggio a collo alto che frequenta oggi i social con i suoi pensieri che più che scuola sono asilo di vita,  ma visto che dobbiamo formattare il nostro pensare, facciamo qualche passo indietro nel tempo, giusto qualche millennio.
Dicevo, parafrasando il buon Menny Agryp: cosa possono fare la bocca e il corpo dell’uomo per una rinascita della propria specie, senza dimenticare che ogni elemento, umanità compresa, è parte dello stesso organismo?

La bocca è lo strumento con cui il corpo manifesta e dichiara i propri intenti.
La bocca procura sostentamento al corpo, in quanto filtro e passaggio di ciò che viene immesso come cibo.
Non viceversa.
La bocca, quindi, è mero strumento: è oggetto e non soggetto.
Per questo se la politica è il cittadino, il cittadino è la politica.
Se bocca e resto del corpo fanno parte dello stesso organismo allora politica e cittadini fanno parte dello stesso sistema. Organico.

I problemi diventano oggi così evidenti
solo perché emergono con la secca del mancato turismo di massa;
esistono perché la bocca (la politica)
non è più lo strumento del corpo (il cittadino), ma viceversa.
Oggi il cittadino sta solo riempiendo la sua bocca,
senza che essa distribuisca ciò che riceve a beneficio dell’organismo
di cui lei stessa fa parte (la città, lo Stato). 

Politica e cittadini stanno ipnotizzandosi a vicenda
pensando solo a come tornare quelli di prima,
dopo che un treno ad altissima velocità virale
li ha travolti assieme a quelle che sembravano certezze.

Diciamoci le cose senza la consueta retorica che contraddistingue i tanti dibattiti organizzati dal sistema per discutere su come attuare i cambiamenti del sistema stesso (e il fine intellettuale cita qui Tomasi di Lampedusa “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”), quelli in cui si parla dei problemi lasciati alla partenza della funivia: “i problemi sono  a monte…”, sull’altruismo dei problemi stessi: “i problemi sono altri…” (o altrui?), sulla generazionalità delle tematiche da affrontare: “pensiamo ai ggggiovani”.

Una volta per tutte: mandiamo ad inseguire il gattopardo chi cita solo quella frase di Tomasi di Lampedusa, spediamo al mare chi dice che i problemi sono a monte, facciamo parlare con gli uni chi dice che i problemi sono altri e mandiamo in pensione, vista l’età, chi ripete da generazioni “pensiamo ai gggiovani”, perché più che pensare, bisognava agire, magari alzandosi da quella poltrona sformata dal suo sedere.

Si dirà: quanta aggressività, quanta durezza, quanto rancore. Aspetta, aspetta… Dai, diciamolo: quale qualunquismo! Perché tanta rabbia da far tremar le vene e i polsi? Le parole rappresentano stati d’animo, signori. O vogliamo fare la rivoluzione sulle bavvicate? Sì: bavvicate, le barricate con l’erre moscia.

Lo vogliamo capire che il sistema è saltato?
Che non tornerà più quello di prima?

Ci stiamo illudendo che un po’ di sole, uno spritz,
e un’ora d’aria siano il primo passo verso la “normalizzazione”.

Basterà avvicinarsi di 90 cm., 80 cm., 70 cm. ogni tre giorni e tutto tornerà come prima. Anzi, è già tutto come prima.

L’atteggiamento che vedo in molti da qualche giorno è quello che percepivo quando ero piccolo, quando i miei nonni dicevano di un conoscente: “el sta mal, el gà un brutto mal…”, illudendosi che non chiamando la malattia con il suo vero nome si potesse esorcizzarla. Cancro. Si chiamava così “el brutto mal”. E si moriva, di cancro, anche se lo si chiamava “babau”.

Alla verità non importano i sinonimi edulcorati. La verità esiste.

Finiranno il Mose, a breve. Solo perchè c’è stata la terribile “Acqua granda” qualche mese fa.
Acqua e merda nelle nostre case, nei nostri attrezzi di lavoro, nei ricordi custoditi nei ripiani bassi dei mobili sommersi.
Acqua e merda = misure da prendere = ultimiamo il Mose. Dopo.
Vogliamo costruire una sorta di Mose mondiale nelle nostre menti, nei nostri comportamenti che salvi le nostre vite senza aspettare un’altra “Acqua Granda” nei nostri polmoni?
C’è aria da “rompete le righe, rompiamo le righe: quel che è successo non succederà più”.
Vogliamo bruciare le tappe, per illuderci che basta volere una cosa perché essa si avveri. Peggio: perché non si avveri più.
Vogliamo ricordarci che per uscire di casa abbiamo dovuto stampare per 5/6 volte un umiliante foglio di carta che spiegava chi eravamo, da dove venivamo e dove volevamo andare? (“Un fiorino!” avrebbe detto Massimo Troisi). Non bastava semplicemente chiederlo e rispondere a voce? Se bisognava chiederlo? Se si doveva rispondere?

Venezia una volta si chiamava “Rivo Alto”.
Riva più alta, sponda sicura.
Io voglio che ci sia una sponda sicura
dove la mia anima possa trovare rifugio nel futuro.

Ognuno di noi deve assumersi la propria responsabilità. Lo dobbiamo non ai tanto strombazzati “ggggiovani” immaginari, ma ai nostri figli.
Che vivono davvero, che respirano, che camminano sotto il sole, sotto la pioggia. Ogni giorno.

Ciò che cerco di abbozzare a parole è una base di partenza, un primo gradino: per una rinascita di Venezia il cittadino deve ricordarsi di essere un politico e il politico non deve dimenticare che è la voce del cittadino.
Sì, lo so: fa tanto rivoluzione francese, ma stavolta il Terrore non lo porta il giacobino che è in noi: il Terrore è dietro le maschere che stiamo indossando ogni giorno.
Il Terrore è la bussola smagnetizzata che dovrebbe indicare la via del nostro futuro.

Bisogna svincolare la città e i cittadini dalla mono offerta, modificando la domanda.

Cultura, Arte, Comunicazione…  Bisogna staccare le macchine,
ovvero dobbiamo interrompere gli artifici
che invece di rendere ancora Venezia protagonista del mondo
continuano ad alimentare solo se stessi.

Bisogna impedire ai “meccanici” di queste macchine
di veicolare ancora la nostra storia,
la nostra arte in funzione del “si fa così dappertutto”,
ovvero: “facciamo così perché conviene a me”. 

Io mi ispiro al Genius Loci, ossia il luogo che trasforma e influenza chi lo abita, che diventa parte attiva del genio, del dàimon socratico, che diventa fonte di ispirazione.
Venezia deve diventare il Banco che dà le carte, non il tappeto verde su cui scaraventare dadi e fiches da parte di chi, attraverso maneggi e privilegi, il Banco se lo è comprato. Venezia non la si può vivere da casa propria e, tantomeno, si può trasformare Venezia in casa propria. Hai visto? Con la nuova App, comprata a pochi soldi da Antiope – la regina delle amazzoni – e, soprattutto, senza muovermi dalla mia stanzetta ipercollegata, ho visitato il palazzo Ducale; ma non solo: con il nuovo programma ho trasformato il rosso veneziano dei quadri di Tiziano in rosa fuxia zebrato, che si usa tanto oggi, come dice quella influencer…

La parola che farà da incipit alle prossime argomentazioni non sarà il “J’accuse” di Zola, ma il disperato “Basta” di Marco Toso Borella.
Cittadino veneziano e artista. E proprio per questo libero di mostrare la luna, senza secondi fini, senza candidature occulte.
Libero di dire che il re è nudo. In dovere di dirlo. 

“…they are all honorable men…”.

Continua…

    3 Comments

  • Giovanni 25 Maggio 2020

    Bravo Marco, continua! I tuoi scritti fanno pensare, semi che germogliano, un abbraccio.

  • Sabina Ragaini 27 Maggio 2020

    Il sistema è saltato, come è vero. E’ il momento di ricostruire, reinventare…Attendo le prossime puntate, grazie

  • Ilda Bonelli 6 Giugno 2020

    Sì Marco anche io desidero una sponda sicura per me, per le mie figlie, per tutti coloro che abbiano voglia di vivere e di rispettare la propria vita e quella altrui, la propria anima e quella altrui

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